ANFITRIONE

DAL 31 OTTOBRE AL 17 NOVEMBRE 2019 AL TEATRO MANZONI

Il Teatro Manzoni accoglie sul suo palcoscenico l’appassionante storia di Anfitrione: la vicenda drammaturgica, riscritta già più volte attraverso i secoli da Plauto a Molière e molti altri, si adatta ad un clima contemporaneo. L’Anfitrione del 2019 è un arrembante politico la cui moglie, la bella Alcmena, è diventata un’insegnante di scuola media di una piccola città di provincia. Ogni personaggio è magistralmente rinnovato in linea con la nuova epoca in cui la vicenda viene sviluppata, ma senza mai perdere la complessità psicologica che lo caratterizza. I protagonisti si sdoppiano: c’è un Anfitrione becero, volgare ed arrogante e un Anfitrione interpretato da Giove, gentile e modello dell’uomo perfetto o quasi. La metamorfosi investe anche Alcmena: nevrotizzata e sciatta con il marito ma dolce e sensuale con Giove quando prende le sembianze del coniuge.

Si apre dunque una riflessione sulle possibili sfaccettature dell’animo umano, perché forse in ognuno di noi c’è un secondo noi stessi, forse anche migliore del primo, che però teniamo nascosto e lo lasciamo affiorare solo raramente.

Il rapporto di coppia stesso viene esposto in ogni sua problematicità, ci troviamo di fronte ad un matrimonio caratterizzato da una trascuratezza apparentemente priva di risoluzione. Quando però Giove giace con l’ignara donna, lei dimostra di avere ancora dell’intimo affetto per il marito. Anfitrione poi, forse per la sua natura semplice, si mostra incline ad accettare una notizia nefasta a seguito della sua vittoria politica.

La commedia, definita tragicommedia da Plauto, inizia in una notte buia. L’ambientazione ha sempre qualcosa di torbido, sinistro e inconfessabile che quasi paradossalmente aiuta a ridere del povero Anfitrione. Dal punto di vista simbolico però sembra che ci venga presentato un incubo a cui assistiamo dall’esterno della casa.

Il tema che si sviluppa, il suo paradosso, la struttura stessa della commedia, la sua ambientazione tutta all’esterno, in un cortiletto davvero ambiguo, quasi anonimo, sembrano suggerirci una riflessione profonda, quasi archetipica del nostro essere mortali, del nostro rapporto con noi stessi, con le nostre paure, in definitiva con il nostro doppio.

Molte sono le domande che rimangono irrisolte: è davvero così facile ridere delle disgrazie altrui? In che misura siamo in grado di turbarci di fronte all’ambiguità umana? Fino a che punto possono spingerci le passioni e per cosa saremmo disposti a perpetuare un inganno?